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La Fondazione nasce dal sorriso di Ale
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Tutti insieme vicino a chi soffre
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Prossimo Evento
Serata grigliata
20 Settembre 2025
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Occhi lucidi, facce commosse ma anche tanta gioia per un amico speciale che non se n’è mai veramente andato e che ora li sostiene dal Cielo nel loro impegno di volontari. Da lui hanno mutuato il coraggio,la determinazione e la speranza della fede che ha mostrato fino alla fine durante la lunga e sofferta malattia.  Sono i volti di ProDigio, la festa che gli amici e i genitori di Digio, all’anagrafe Alessandro Di Giovanni, hanno voluto organizzare presso l’Oratorio Sant’Andrea di Sesto S. Giovanni il 13 giugno scorso per ricordare la sua prematura perdita il 24 novembre del 2024 a soli 19 anni.
L’idea della serata è venuta a Miriam, una delle amiche di Digio che dice in proposito: “Ale sapeva creare unità fra noi e lo sta facendo anche adesso nello spettacolo di vedere tanti ragazzi che non si conoscono lavorare insieme per la riuscita dell’evento”. E allora si parte. Il coro si ritrova per provare i canti. C’è molto fermento, bisogna provarli bene. Soprattutto il canto “Tu mi hai fatto come un ProDigio” che gli amici di Ale hanno voluto al suo funerale perché in esso ricorreva Digio, il soprannome di Ale. E il Prodigio c’è stato veramente perché questa parola ha innescato un percorso inaspettato. Da qui è infatti venuta al papà l’idea di chiamare così la Casa di accoglienza che nascerà a Sesto, sul modello di quella sperimentata da Ale in America, per offrire sostegno economico ma soprattutto vicinanza e conforto a chi deve affrontare la fatica di cure mediche impegnative lontano da casa. E prodigio è anche la quantità di gente che partecipa alla Messa delle 18.30, quasi come al suo funerale che tutti ricordano come una grande festa. Allora don Simone disse “Grazie Ale, perché ci hai fatto un regalo: non ci hai consegnato a un dolore che non potremo affrontare. Con il tuo modo di essere, con il tuo sorriso e la tua determinazione, ci hai dato gli strumenti per stare in questa sofferenza, per viverla in maniera non disperata, sotto lo sguardo del Padre buono che ora vedi in tutta la Sua bellezza”. La sofferenza, per quanto forte a causa della sua mancanza, non è il sentimento prevalente e lo si vede subito dalle grandi tavolate allestite nel cortile dell’Oratorio dove la gente si appresta a mangiare un gustoso pulled pork cucinato e servito dagli amici di Digio. Gli occhi degli improvvisati ma efficienti camerieri trasmettono la sua stessa gioia, il suo voler sempre fare il massimo senza pesare su nessuno. E quando al nostro tavolo si avvicina Alice per prendere le ordinazioni è inevitabile chiederle di Digio: “Il giorno del mio 18esimo compleanno - ricorda con commozione – coinciso con la sera prima del funerale, mi ha molto confortato aver potuto cantare con Ale e altri amici fino a mezzanotte”. Lo dice serena e scappa via a raggiungere gli altri camerieri per servire le torte.

Poco dopo arriva l’avviso di spostarsi nel campo di calcio per la testimonianza. Siamo davvero tanti, quasi 400! E’ l’ennesimo prodigio della serata perché nessuno si aspettava tanto seguito per il primo evento di raccolta fondi. Seduti al tavolo dei “relatori” ci sono mamma Francesca, papà Giampaolo e con loro Miriam, che ha voluto il momento canti ricordando la bellezza di un gesto analogo vissuto per un amico che entrava in seminario. “Cantare insieme – dice - ci aveva fatto sentire partecipi del passo che il nostro amico aveva deciso di fare. Ora sta accadendo lo stesso con Digio. Siamo qui con e per lui ma al tempo stesso per accompagnare Francesca e Giampaolo nell’avventura che ci racconteranno”. La prima a parlare è Francesca “Siete voi la testimonianza vivente che ognuno di noi può essere un prodigio e che la Fondazione è già viva e all’opera. Così come siete stati voi all’origine sia del nome Prodigio sia del logo, realizzato insieme a Simona, una mamma dell’oratorio”. Scopriamo così che nel logo è rappresentato il percorso di Ale, che poi è anche il nostro: una strada 
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intersecata da una croce che è il cammino di Ale e simboleggia il fatto che ognuno ha la sua croce, ma la può portare solo col sostegno di un popolo che gli è accanto. “A un certo punto della sua malattia, ad Ale hanno amputato un braccio. Per questo il braccio sinistro della croce del logo è più corto, a voler dire che la croce è personale, Ale però ha sempre testimoniato a tutti che la sua vita non coincideva né con la sua malattia né con il suo braccio mancante sul quale riusciva persino a scherzare. Ha sempre voluto fare tutto al massimo, salvo lasciarsi voler bene e aiutare quando ha capito che non era più possibile fare altrimenti”. Ecco perché la strada finisce con la stella! “La supernova che muore e rilascia luce nuova siete voi, anzi siamo noi e Ale insieme in cammino a costruire questa Fondazione.
Francesca ricorda così come sia nata l’idea: “Siamo andati in America a tentare una cura sperimentale accompagnati da alcuni amici di mio figlio che avevano voluto seguirlo fin lì. La sorpresa è stata quella di trovare una struttura che ci è venuta incontro non solo dal punto di vista economico ma anche umano, aiutandoci ad alleggerire quel pezzo di croce che dovevamo portare”.Da lì è fiorito il desiderio, via via sempre più crescente dopo la morte di Ale, di costruire un modello simile in Italia. Digio, che di solito parlava poco, ha piano piano sussurrato al cuore dei suoi genitori che il posto c’era. Bastava trovarlo. E così mentre tornavano a casa dal cimitero i genitori per “sbaglio” (volevano andare a trovare Ale, ma non si erano ricordati che il lunedì era giorno di chiusura del cimitero) si sono accorti che lì nei pressi c’erano delle bellissime cascine e non hanno potuto fare a meno di pensare al luogo dove costruire la casa di accoglienza. “L’idea è venuta a me – dice la mamma - ma poi mio marito ha detto il suo sì, essenziale per trasformarla in progetto. E poi anche voi avete detto il vostro sì e piano piano piccoli prodigiosi passi ci hanno portato incredibilmente al punto in cui siamo”.
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   A spiegare lo “stato dell’arte” è Giampaolo, dicendo che Ale è mancato da soli 6 mesi e non si spiegano i risultati prodigiosi raggiunti in questo tempo brevissimo, a partire dalla nascita di Fondazione ProDigio ETS. “Noi ora ci troviamo vicini alla presentazione al Comune di Sesto del progetto finito di Casa Prodigio e in fondo non abbiamo fatto altro che assecondare gli incontri che abbiamo fatto, in primis con i funzionari del Comune con i quali è nata una collaborazione non scontata. E quindi non possiamo che ringraziare davvero tutti, a partire da chi è stato in cucina per finire con chi pulirà … e a voi tutti che siete presenti”. Il progetto è nelle fasi iniziali ma già si racconta che Casa Prodigio sarà una grande casa con stanze da 2 a 4 persone, alcune per portatori di disabilità, una sala da pranzo comune, un salone per le conferenze, un grande giardino, tanti spazi accessori. Insomma il trionfo della Bellezza, che è la prima forma di cura e di salvezza come ben diceva Dostoevskij. “Si tratta sicuramente di una grande opera, una avventura bellissima in cui però abbiamo bisogno di essere accompagnati da voi perché voi siete già ora la testimonianza che la morte di Ale non è l’ultima parola della sua vita, lo siete adesso e non quando ci sarà la Casa, la quale ci sarà solo se Dio vorrà”. Partono i canti e la voglia di cantare e ballare contagia tutti i presenti in un abbraccio ideale a Digio. Ed ecco che le parole del canto conclusivo di Chieffo “Di più” non potrebbero essere più adeguate “Quanti amici stasera. Che silenzio che c’è. Non finisce la vita mai più…”. La nuova vita di Digio è appena cominciata e con lui la nostra. Buona avventura Casa Prodigio. Ci diamo appuntamento ai prossimi eventi di Fondazione ProDigio!
Laura Sposito